Roberto Serri nasce nel 1962 a Las Plassas, in Sardegna. Dopo una lunga esperienza nell’impresa edile di famiglia, Roberto decide all’età di 25 anni di dirigerne una tutta sua operante sempre nel settore dell’edilizia. In principio il lavoro sarà per Roberto fonte di grandi soddisfazioni minato però qualche anno dopo, dalla crisi economica che ha colpito soprattutto l’intero settore edile. Dopo lunghi periodi di tentativi volti a salvare l’azienda e senza più alcuna speranza, nel 2010 il giovane imprenditore decide a malincuore di chiudere definitivamente i battenti. Per qualche anno ha continuato, sperando in una ripresa, fino alla chiusura definitiva dell’azienda avvenuta nel 2010. All’età di 48 anni, tra mille difficoltà trova la forza di reinventarsi un nuovo lavoro. Così inizia, da autodidatta, sfruttando la conoscenza di alcune tecniche del vecchio mestiere a creare delle espressioni in cemento e ferro, chiamandole “CARAS” (facce) trasformandosi “nell’artista” del cemento e della malta. Da allora, malta e cemento non vengono più utilizzate per costruire case, ma per creare delle vere e proprie opere d'arte. “CARAS” rappresentano i personaggi tipici dei racconti e delle leggende della tradizione sarda, ma anche storie di disabilità, disagio sociale e cronaca. Ogni opera di Serri è unica, fatta a mano con malta o cemento, senza l’ausilio di nessuno stampo. Per questo tutti i suoi pezzi sono unici, firmati e numerati nella parte posteriore per certificarne l’autenticità.

Hanno detto di lui:

Antonio Naìtana – Giornalista

La maschera è uno strumento ambivalente e perciò ambiguo dietro il quale la nostra vera essenza ama nascondersi per difendersi; ma che, in altro senso, essa utilizza per osservare la realtà senza venirne stravolta. Attraverso la maschera, l’uomo scruta l’altro da se e contemporaneamente cela il proprio io. Abbiamo bisogno della maschera per guardare l’abisso impedendogli di entrare dentro di noi, per confrontarci con il vano orrore della nostra esistenza senza uscirne sconfitti ed anzi, celebrando la vita nella sua realtà effimera. Non a caso, la maschera è elemento essenziale dello spirito dionisiaco che, per Federico Nietzsche, contrapposto a quello apollineo, ispira il ragionamento, la riflessione filosofica, la risposta trasgressiva dell’uomo alla banalità ed alla sofferenza del vivere. Le maschere di Roberto Serri, “Caras”, sono volti che hanno imprigionato la visione dell’incubo in uno scheletro di ferro e malta: cristallizzandola e rendendola quasi inoffensiva, patetica ombra di una paura ormai espressa e perciò non più ostile. Trovi i diavoli dei racconti antichi, le streghe che rubano la coscienza nei pomeriggi assolati, gli spiriti maligni che nella notte del venerdì santo, vanamente credendosi vittoriosi, invadono le strade dei paesi, la paura della malattia, il peso della colpa, la diversità, il conscio e l’inconscio, il senso tragico di una speranza religiosa che nasce dal dolore e dalla morte. La sua produzione è uno sguardo di pietà sulla vicenda umana e sull’umana illusione che, negli ultimi tempi, attraverso l’uso di nuove tecniche e nuovi materiali, si è arricchito di colori. Roberto Serri evoca le sconfitte dell’anima e le esorcizza dandogli un volto di pietra. “Caras” è un’opera teatrale, più che una mostra: così come nel campo fosco di Macbeth le streghe raccontano il divenire della tragedia che spegne nel monologo nichilista la speranza nella bontà umana, così ”Caras” esprime la poesia tragica della vita troppo breve e suggerisce la necessità di una risposta : vivere intensamente, ogni gioia riempia il cuore e l’anima e si goda della bellezza, della bontà, dell’arte, dell’attimo fuggente.

 

 Gesuino Curreli – Poeta

Ho conosciuto Roberto Serri, nel suo studio-rifugio, posto dentro una striscia di verde ai piedi della montagna di Oliena, sotto una gigantesca quercia, protetto da un silenzio e un’intimità che non ti aspetti. A vedere il posto è già facile capire che cosa muova l’animo di chi lo ha forgiato, con gusto e cura, mimetizzando perfettamente un angolo attrezzato per l’ospitalità, davvero singolare e molto confortevole. Lì ho apprezzato per la prima volta il fascino delle cose che via via, quel pomeriggio, andavo scoprendo, come le maschere, sparse un po’ dovunque, “caras” (facce – visi ), come preferisce chiamarle lui. Artigiano di buone mani, Roberto, che di cazzuola e malta se ne intende, dando sfogo a qualcosa che gli rode dentro ( oltre la riconosciuta dedizione all’ organizzazione di serate di beneficenza ), ha iniziato da lì, dagli umili materiali del suo mestiere, finanche dagli sfridi di tondini di ferro attorcigliati e tranciati da cesoie potenti, finalizzandoli però ad una creatività del tutto nuova e affascinante, come la creazione delle maschere, per l’appunto, o di minute sculture evocanti un mondo animale, non si sa quanto sottomarino o astrale, ma elegante di certo, e di stupefacente bontà. Composizioni di rara efficacia queste ultime, per lo più dedicate ad accoppiamenti, ad intrecci di arti e di corpi in amplessi carichi d’istinto e di giocosa naturalezza. Vi si leggono posture di lucertole, animali marini, quadrupedi, esseri, come già detto, di difficile definizione morfologica, ma anche l’inconfondibile bipede umano, tutti intenti nella intensissima, meravigliosa danza dell’amore. Sorprendente.
“Sas caras”, dopo una prima immancabile imitazione, guardando ai “boes” di Ottana, ben presto assumono tono e voce propria, figlie di creazione esclusiva, e neanche cloni di un esperimento occasionalmente fortunato. I risultati sono ammirevoli, nella forma e nel colore, ma nell’espressione soprattutto, tali da suscitare suggestioni forti ed autentiche. Lo scenario ridente dello studio/rifugio mitiga un certo disagio interiore che, innegabilmente, l’incontro con “sas caras” ti crea, quando non le si passino in distratta rassegna, con sguardo affrettato, ma ci si soffermi a scrutarle, al pari di quanto loro fanno, con fascino che sa di mistero, quando ti scrutano dentro l’anima, dagli incavi degli occhi vuoti e profondi, e ti investono con domande insistenti, ti coprono di salaci battute, oppure stanno e tacciono, obbligandoti a pensare, chiamandoti ad entrare nel turbinio della loro inquietudine immensa. “Sas Caras” di Roberto Serri ridono e piangono, condannate ad essere “altre”, e non calchi di dati somatici più o meno riconducibili alla parvenza antropomorfa di una qualche divinità, di un tempo che non c’è più, o di un demone bisognoso di riti propiziatori perché ne sia ammansita l’ira e la voglia di male. Non si resta indifferenti, e questo è già segno di vibrazione poetica, di pulsione interiore capace di trasmettere evocazioni ed analogie con mondi le cui storie sono giunte fino a noi, mai disgiunte dalle maschere e dall’infinità dei loro simbolismi presenti in ogni cultura, a partire dai popoli dell’Oceania, della Papua Nuova Guinea, a quelli africani dei Dogon, nel Mali, , dai popoli dell’america precolombiana a quelli della Costa d’Avorio, della cultura Dan, da quelle ben note del nostro panorama isolano a quelle del tutto simili del carnevale sloveno. Roberto Serri, però, aldilà della storia che lo precede, si muove in un alveo del tutto personale dettato dall’intuito ingenuo e spontaneo, ricco del disincanto che si addice alla poesia, alla creazione pura, figlia d’ anima e d’istinto, ma supportata da una innegabile manualità con la quale dare forma a un sentimento che coinvolge e che condividiamo profondamente. Insomma, un approccio vibrante, al quale partecipiamo volentieri, davvero presi in questo linguaggio di rara efficacia, e di fine intuizione poetica, che ci affascina e ci turba.

 

 

Roberto Serri: L’aneddoto

“A un certo punto vedo che la signora inizia a piangere, vado dall’interprete e gli chiedo di domandarle se sta male. L’interprete si avvicina, lei gli risponde che piange perché si è emozionata vedendo i miei lavori. In quel momento è stato come vendere tutte le mie opere ”. Questo è solo uno degli episodi che Roberto Serri, artista di Oliena creatore delle espressioni in cemento e ferro “Caras”, racconta di aver vissuto durante le proprie mostre ed esposizioni in giro per la Sardegna e nel resto d’Italia.